Di positivo c’è sicuramente il fatto che finalmente Renzi ha detto con chiarezza cosa vuole: l’aver parlato chiaro ha sgombrato il campo dal chiacchiericcio senza costrutto che in queste settimane ha tenuto banco sui media e ammorbato il clima politico nazionale, e fatto pulizia (anche se gli strascichi si faranno sentire a lungo nella vita interna del partito) di quel tanto di tartufesco e insieme di brigantesco che ha caratterizzato il modo in cui Renzi e soprattutto i suoi hanno gestito i rapporti del PD con il governo e con lo stesso Letta e che ha rischiato fino all’ultimo di provocare rotture traumatiche – sia nei gruppi dirigenti che tra iscritti ed elettori – se non fosse stato per il senso delle istituzioni e di quel bene comune che si chiama partito dimostrato da Letta, con l’annuncio delle sue dimissioni subito dopo l’approvazione a larghissima maggioranza da parte della Direzione del PD del documento che dà il benservito al governo in carica e propone la formazione di un nuovo governo, questa volta di legislatura, guidato da Renzi.
Personalmente, continuo a pensare che sarebbe stato meglio – sia per Renzi che per il PD – mantenere Letta alla guida del governo, sia pure con gente nuova e contenuti più corrispondenti alle necessità del Paese, ma ormai la scelta è fatta e con essa bisogna confrontarsi e farlo in positivo: non si può fare altrimenti!
Il mio augurio è comunque che la scommessa di Renzi consegua gli obiettivi che si propone, perché – se la ciambella non dovesse riuscire col buco – a pagare non sarebbe solo Renzi: in definitiva, a rischiare l’osso del collo sarebbe innanzitutto il PD e forse anche l’Italia. E, da questo punto di vista, penso che abbia fatto bene la minoranza del PD a votare il documento: non solo perché essa diversamente si sarebbe ridotta solo a svolgere un ruolo di testimonianza (non avendo neppure il diritto a dire la sua sui contenuti programmatici del nuovo governo), ma per una scelta del genere e in una situazione come quella attuale del Paese c’è bisogno di tutti i democratici, nessuno escluso, o il rischio di una rovina comune si fa molto più alto.
Ma che cos’è che non funziona nella scelta di Renzi?
Innanzitutto, il modo come essa è avvenuta. E qui è proprio il caso di scomodare Dante: …e il modo ancor m’offende”! O, se volete, ricordarsi di quel consiglio di Orazio: est modus in rebus...
Ma, nel nostro caso, non solo non c’è stata misura, ma il modo è stato tale da risultare semplicemente offensivo nei confronti di Letta, un uomo del PD capace e apprezzato anche fuori d’Italia; e questo alla gran parte degli italiani, e in primo luogo agli elettori del PD, non è proprio piaciuto. C’è dunque, in primo luogo, una ferita da sanare e mi auguro che Renzi sia capace di farlo …
In secondo luogo, è bene che tutti sappiamo che il prossimo governo non sarà un governo di centrosinistra. Non solo perché Alfano ha già messo i suoi paletti; e Alfano – piaccia o non piaccia – è un pezzo essenziale della partita che si giocherà di qui in avanti. E non ci si illuda che qualche arrivo da SEL o dal M5S (ammesso che ci sia) possa cambiare la natura della maggioranza, anzi bisogna stare attenti a che qualche arrivo sollecitato (per esempio, da SEL) non complichi per il futuro i rapporti del PD con quella parte della sinistra radicale che comunque è disposta a confrontarsi con i democratici. Dico queste cose perché, almeno a sentire certi renziani, sembra che ora con Renzi il PD abbia tutte le carte nelle sue mani, sia a livello nazionale che a livello europeo. Ma non è così: una parte del mazzo è in mano – com’è ovvio – alle altre componenti della maggioranza e di altre carte dispone l’Europa. E quindi…
C’è poi da non dimenticare il fatto che la messa in ordine dei conti del bel Paese non va affatto in soffitta.
Letta, a questo proposito, stava facendo un buon lavoro a livello internazionale ed europeo; e sicuramente avrebbe ottenuto dei risultati che però – anche se arriveranno ugualmente – non saranno ritenuti sufficienti da chi pensa (come la Confindustria e i sindacati) che le risorse da mettere in campo debbono essere ben più cospicue di quel che oggi possono consentire le casse dello Stato.
Nel dibattito in Direzione è stato giustamente sottolineato che il cambiamento di fase che il PD intende imprimere con il nuovo governo alle politiche socio-economiche si esprima innanzitutto e soprattutto nella capacità di portare la politica a riappropriarsi fino in fondo delle scelte necessarie a tirarci fuori della crisi, mandando definitivamente in archivio – non solo formalmente ma anche nel modo di pensare e di agire – il governo dei tecnici (di cui anche il governo Letta sarebbe stato espressione) e il mantra dell’austerità. Ma è chiaro che questo obiettivo – davvero decisivo – non potrà realizzarsi né annullando vincoli che anche l’Italia ha sottoscritto a livello europeo né facendo finta che non c’è più bisogno di tenere sotto controllo i conti. E non saranno sufficienti (anche se contano molto) né il coraggio di Renzi né la sua capacità di affrontare i problemi con spirito innovativo e il massimo dell’energia necessaria: essenziale è la capacità del PD di costruire le alleanze necessarie a livello europeo (benissimo, da questo punto di vista, l’ingresso nel PSE che diventerà fra qualche settimana il Partito europeo dei socialisti e dei democratici); e inoltre saper far valere le nostre esigenze nei confronti di tutti i partner europei, cosa però possibile se continuiamo a mettere nello stesso tempo ordine in casa nostra. Ma, data la grandezza e la complessità dei problem non è detto però che tutto questo sarà sufficiente.
E poi è fondamentale, prima ancora di mettersi in marcia, intendersi nel PD – oltre che con gli altri contraenti del patto di coalizione – su come si configurrerà concretamente la nuova fase strategica che il PD intende avviare.
Allo stato, tutto è ancora da scrivere: i contenuti e i protagonisti della nuova fase, in primo luogo. E non sarà certo di poca importanza – come opportunamente sottolineava ieri Fassinain Direzione – il grado di discontinuità che connoterà la nuova formazionedi governo rispetto a vecchie ricette all’origine della crisi e delle profonde diseguaglianze che oggi strangolano i ceti più esposti. Su due terreni soprattutto: quello della crescita e quello della lotta alle disuguaglianze, con una politica quindi di effettiva redistribuzione delle ricchezze che si concentrano sempre più nelle mani di pochi. E anche qui non è che tutto sia scontato: ha fatto bene perciò qui Cuperlo a porre il problema di una nuova riunione della Direzione per entrare nel merito e decidere assieme delle cose da fare.
Siamo, dunque, di fronte a un passaggio difficile e molto problematico.
E’ stato detto in Direzione che il Paese è di fronte a un bivio perché tante cose – dal giorno dell’insediamento del governo Letta a oggi – sono cambiate. E non solo perché è cambiata la maggioranza di governo e si è ridisegnata – per vicende che hanno interessato in particolare la maggioranza – la stessa geografia parlamentare, ma perché soprattutto è cambiata e si è fatta più acuta la percezione che degli effetti della crisi e dell’efficacia delle misure adottate hanno oggi strati fondamentali della società italiana (imprenditori e sindacati, innanzitutto) ed è cambiata, di conseguenza, anche la pressione che sale dal Paese nei confronti della politica, aprendo nuovi spazi alle spinte populistiche e antidemocratiche già presenti nel Paese e su cui tentano di costruire le proprie fortune sia Grillo che Berlusconi.
Tutto questo è vero. Ma, ecco la domanda: la cura radicale che Renzi pensa di mettere in atto per portare definitivamente il Paese fuori della crisi e agganciare la crescita saprà ottenere il consenso degli italiani e soprattutto riuscirà a conseguire i suoi obiettivi?
E’ chiaro che oggi nessuno può dirlo: saranno i fatti che ce lo diranno. E non saranno le spiegazioni (che pure sono indispensabili, dopo i balletti folli delle scorse settimane) che i democratici italiani daranno sui media per conquistarci il consenso necessario: ci vorranno i fatti.
Solo sulla base di quanto potranno in prima persona sperimentare gli italiani sull’efficacia della nuova cura che si vince o si perde la sfida.
Ma qui – come dovrebbe essere chiaro a tutti, ma forse non è – torniamo al rapporto che, secondo Machiavelli ne Il Principe, intercorre tra la fortuna e lavirtù ordinata: speriamo che Renzi questa volta sappia costruirlo nel modo giusto e davvero: perché, senza una grande consonanza di intenti all’interno del PD, è difficile che si possa andare lontani…
Antonio Ciancio
http://antoniociancio.wordpress.com/2014/02/14/la-scommessa-di-renzi/#more-1460
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