Intervento del presidente del PD, Gianni Cuperlo, alla Direzione.
Vorrei concentrarmi sul merito della proposta lasciando in coda una valutazione politica. Con una sola premessa che è questa. Non esiste alcun pregiudizio – e lo sottolineo, nessuno – al tentativo di condurre finalmente ad un approdo quelle riforme che oggi sono semplicemente decisive per la tenuta e la rigenerazione della nostra democrazia.
In questo senso l’accelerazione impressa dal Segretario in queste settimane è stata, a mio parere, un fatto positivo. Quindi è bene sgombrare il campo da un punto: al nostro interno non c’è una maggioranza che spinge per cambiare – per riformare lo Stato, e restituire speranza al Paese – e una minoranza che vuole restare ferma, immobile sulle gambe. O addirittura boicottare o rallentare la scommessa di una riforma storica del nostro sistema politico e istituzionale. Noi vogliamo essere protagonisti del passaggio a una Repubblica rinnovata consolidando le istituzioni di una democrazia in crisi. E quindi bene la sferzata e l’accelerazione. Detto questo qui c’è una discussione sul merito, e la prima cosa da dire è che è molto positivo che sul tavolo ci sia un trittico di riforme.
Quella costituzionale con il superamento del bicameralismo e le modifiche al Titolo V. E naturalmente quella elettorale sulla quale sono accesi i riflettori in queste ore. Collegato a tutto questo c’è un nodo politico che riguarda la sorte del governo, i problemi gravissimi aperti e sui quali si deciderà della nostra credibilità e del consenso che raccoglieremo nel Paese. Su questo spero e ripeto: con quella ripartenza, quel nuovo inizio, di cui c’è un assoluto bisogno.
Sul piano del metodo dobbiamo sapere che queste diverse riforme dovranno avere un iter parlamentare concatenato. Legge elettorale, Senato, Titolo V: sono tre pezzi che camminano assieme e configurano un nuovo possibile assetto dello Stato e una qualità diversa della nostra democrazia. Sul Senato e sul Titolo V discuteremo, approfondiremo, ma la via tracciata credo vada nella direzione giusta. Mentre io ritengo che la proposta di nuova legge elettorale avanzata oggi, per una serie di ragioni, non risulti ancora convincente. La considero una soluzione non convincente perché non garantisce né una rappresentanza adeguata, né il diritto dei cittadini a scegliere il proprio rappresentante, né una ragionevole governabilità.
Tutti aspetti per nulla secondari o marginali.
E’ anche una soluzione che si discosta, in certa misura, dai criteri di fondo indicati dal Segretario nelle tre ipotesi che lui stesso ha avanzato a inizio anno.
Nel senso che qui non siamo di fronte né al modello spagnolo, né a una riedizione del Mattarellum o a una traduzione della legge dei sindaci.
In particolare – e potrei rimandare alla bella intervista di Massimo Luciani oggi su Repubblica – esistono alcuni profili di dubbia costituzionalità che non possiamo ignorare soprattutto alla luce delle motivazioni della sentenza della Corte.
Mi limito a indicarne i titoli.
Prima che questa mattina si inserisse nella discussione la proposta di doppio turno, la soglia del 35%, nella sostanza, faceva venire meno quel principio tante volte rimarcato sulla necessità che la sera delle elezioni i cittadini devono sapere con chiarezza chi ha vinto e a chi spetti l’onere del governo.
Con l’introduzione del doppio turno – che è un passo avanti – questo limite trova una prima risposta. Ma del tutto parziale perché una soglia troppo bassa – e il 35% è una soglia troppo bassa – di fatto quel doppio turno finirà con l’invalidare.
Nel senso che con ogni probabilità una soglia così bassa verrà comunque superata, e a quel punto con il riproporsi di un premio che la Corte ha raccomandato non deve essere in alcun caso irragionevole.
Quindi alzare quella soglia almeno a una percentuale del 40% è una questione da porre e una battaglia da fare.
Dire, toccare una soglia vuol dire far saltare tutto (il Titolo V e la riforma del Senato) non mi pare un modo di procedere convincente.
Non per una ragione di parte, ma se riteniamo che la riforma serve al Paese.
Aggiungo che questo modello ci restituisce un interrogativo non banale sulla possibilità di ritrovarsi, alla fine del percorso, con due premi differenti per Camera e Senato, viste le due diverse platee dell’elettorato passivo.
Il che ci riporta alla necessità di un iter parlamentare davvero contestuale tra il percorso della legge elettorale e il superamento del Senato, almeno come Camera alta che esprime la fiducia al governo. Seconda considerazione. Nel modello che stiamo discutendo non c’è alcuna possibilità di scelta diretta dei propri rappresentanti da parte dei cittadini. Di più.
L’introduzione di collegi di piccole dimensioni con liste bloccate rischia di trasformarsi in un diversivo o, peggio, nel momento in cui i seggi vengono assegnati con un collegio unico nazionale dove il ricalcolo dei resti definisce lo scatto dei migliori quozienti.
Concretamente questo sistema può tradursi nel fatto che un elettore convinto di destinare il suo voto non solo ad un simbolo ma ad uno dei candidati della lista bloccata, nei fatti potrebbe trovarsi a contribuire all’elezione di un candidato a lui sconosciuto e presente in una lista presentata con quello stesso simbolo ma in un altro collegio o circoscrizione.
Dice: se era per noi e Forza Italia, andavamo diritti sul modello spagnolo con due grandi partiti e la semplificazione del resto, ma abbiamo tutelato la maggioranza.
Temo che, da questo punto di vista, la questione dei piccoli collegi può finire con l’aggirare una delle motivazioni presenti nella stessa sentenza della Consulta.
Dal mio punto di vista non si tratta di una scelta ragionevole nel merito e nelle sue conseguenze possibili.
Anche in questo caso lo dico guardando unicamente al merito e all’interesse del Paese.
Perché si potrebbero avere dei nuovi ricorsi alla Corte col rischio di ritrovarci in futuro in una condizione simile a quella nella quale ci siamo trovati durante l’ultimo anno.
E l’idea di farsi riscrivere per la seconda volta la legge elettorale dalla Corte Costituzionale non è auspicabile né ragionevole. E tutto ciò al netto del fatto che sulla scelta diretta dei propri rappresentanti da parte dei cittadini noi abbiamo costruito uno dei paletti – diciamo pure uno dei principi – della nostra posizione.
Se la risposta a questa obiezione è sostenere che comunque noi ci impegniamo a tenere le primarie per la scelta dei nostri candidati, la mia risposta è che quelle primarie noi le abbiamo già fatte alla vigilia dell’ultima campagna elettorale, ma l’impegno che ci siamo assunti, persino con qualche solennità, non era che avremmo rifatto le primarie in casa nostra ma che avremmo restituito a milioni di italiani il diritto fondamentale a votare il loro parlamentare.
E tra le due cose c’è differenza.
Allora, o si introduce un sistema dove le primarie si svolgono per legge e sono obbligatorie per tutte le forze politiche oppure si deve garantire un sistema di doppia preferenza di genere. Altre soluzioni non risolvono il tema annoso di una arbitraria decisione delle segreterie dei partiti – se volete di buona parte dei partiti – nella composizione del Parlamento repubblicano.
Insisto, il segretario ha chiesto nei fatti un mandato per la ricerca di una soluzione largamente condivisa che garantisse al contempo governabilità, rappresentanza e diritto di scelta del cittadino.
Allo stato delle cose mi pare che alcune di queste condizioni non siano garantite dal modello che ci è stato sottoposto.
Aggiungo che introdurre uno sbarramento dell’8% per le forze che non si coalizzano, a mio parere, contiene due implicazioni.
La prima ha una relazione diretta col tema della rappresentanza dal momento che, in linea di principio, si immagina di poter escludere dal Parlamento anche forze capaci di aggregare nelle urne quasi 4 milioni di voti.
E guardando alle condizioni di salute della nostra democrazia e al rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni, rischiare di ridurre drasticamente la rappresentanza democratica non mi pare una soluzione ragionevole.
Per altro la nostra Costituzione sancisce il principio della rappresentanza e la sentenza della Consulta quel principio ha confermato nel merito. Tanto più che nel ballottaggio qui illustrato non sono previsti apparentamenti.
La seconda implicazione ha una ricaduta di carattere più politico.
E’ probabile che la soglia dell’8% abbia delle implicazioni consistenti negli equilibri all’interno del centrodestra, soprattutto dopo la rottura che si è determinata in quel campo all’inizio di ottobre.
Ora, una soluzione di questo genere – una soglia così alta per le forze non coalizzate – tenderà a spingere tutto il centrodestra e forse una parte del centro a coalizzarsi attorno al perno rivitalizzato di Forza Italia, cioè della componente più estrema dentro quel campo.
Possiamo risolvere la questione dicendo che non sono affari nostri o che comunque è già così ovunque.
Però forse non è propriamente così.
Almeno dal punto di vista delle condizioni più agevoli che noi stessi scegliamo di favorire affinché quel ricongiungimento abbia luogo.
Per essere più chiari: quale interesse abbiamo noi a risospingere verso il capo storico di una destra radicale quelle forze che non senza fatica nell’ultima stagione hanno scelto di spezzare l’unità e la subalternità a quell’impostazione?
Infine una sola notazione più politica: non è mai stata in discussione la possibilità e la necessità di discutere di una riforma costituzionale e della legge elettorale con tutti, e dunque anche con Forza Italia e con il suo vertice.
La questione non è di galateo politico o istituzionale e nemmeno del luogo più o meno simbolico dove gli incontri si svolgono.
E’ abbastanza evidente però che una cosa è discutere e confrontarsi anche con il leader di una forza politica che raccoglie milioni di voti nelle urne, altra è stringere un patto politico su questioni di rilevanza costituzionale con un esponente interdetto, espulso dal Parlamento, ma soprattutto e per la prima volta dopo 20 anni non più egemone come prima nel suo campo.
Lo dico perché poi in politica i sentimenti, gli stati d’animo contano, e noi dobbiamo comprendere lo smarrimento di una parte dei nostri elettori ed iscritti di fronte al rischio di una piena rilegittimazione del Capo della destra.
Ora si può fare tutto, o quasi, in particolare quando quel tutto è agito nel nome del superiore interesse del Paese, ma ritengo anche legittimo sollevare un interrogativo tra di noi in relazione all’opportunità di stringere patti preventivi su materie così delicate e strategiche che per altro toccano i diritti personali e politici del singolo cittadino, come nel caso della legge elettorale.
Per l’insieme di queste ragioni io voglio dire in questa sede – con uno spirito di sincerità e chiarezza – che l’obiettivo delle riforme è di tutti noi.
Ma che sul merito della proposta sento che dobbiamo discutere e approfondire ancora.
Con lo spirito giusto, che è quello di trovare le soluzioni migliori non per noi ma per l’equilibrio e l’assetto di quella Seconda o Terza Repubblica che oggi ha concretamente la possibilità di vedere la luce.
Il punto è che “come” accadrà non è un aspetto tattico o marginale. Dev’essere, piuttosto, il fulcro della nostra ricerca.
E allora in una battuta conclusiva: credo che dobbiamo essere tutti animati dagli stessi sentimenti: buona volontà ma anche una seria volontà di ascolto e confronto tra di noi.
Dobbiamo farlo qui. Dobbiamo farlo fuori da qui e in questo senso penso sarebbe saggio, come è stato richiesto, accelerare una qualche forma di consultazione dei nostri iscritti e dei gruppi dirigenti, a cominciare dal nodo per me decisivo della relazione tra il singolo cittadino elettorale e il suo rappresentante in Parlamento.
Ora, e la domanda ovviamente è retorica: si è già deciso tutto con le primarie?
Discutere una singola vite del macchinario fa esplodere la macchina? E vuol dire impedire una riforma storica dell’assetto dello Stato e del futuro della Repubblica?
Ok. Bene.
Ma se è così perché convocare una nuova direzione tra 15 giorni?
Via così: spediti sull’autostrada, coi 3 milioni delle primarie e ci vediamo direttamente in una riunione, quando sarà, per convocare nuove primarie.
Ma un partito funziona così?
Temo di No.
Credo di No.
Spero di No.
http://www.partitodemocratico.it/doc/264213/legge-elettorale-cuperlo-accelerare-su-referendum-degli-iscritti.htm
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